I suoni, la musica, le poesie, i canti tradizionali e religiosi da sempre sono il legame più diretto e significativo con le radici e la memoria del popolo sardo.
A settembre del 2009, due giovani codrongianesi decidono di riscoprire il canto ad accordi di tipo religioso di cui tanto avevano sentito parlare dagli anziani del paese, dando vita ad un sogno che condividono da anni. Il ricordo della solennità con la quale si rappresentava la Passione di Gesù, l’amore per i canti in lingua sarda e in latino che accompagnavano e scandivano i diversi momenti della Settimana Santa, li spingono a voler studiare quest’arte così antica e preziosa ormai abbandonata a Codrongianos, Il canto a Cuncordu.
Luigi Betza e Giovanni Fara, Contra e Basciu del Coro folk Codrongianos si rivolgono ad un caro amico Luigino Cossu, importante interprete del canto tradizionale sardo e solista del coro di Aglientu che accetta l’incarico di insegnante e direttore del coro. Insieme individuano in Giancarlo Cortis, Luigi Carboni anche loro parte della corale polifonica e Andrea Zucca Pais, studioso e appassionato del canto a chitarra, sa oghe e sa mesa-oghe che andranno a completare il cerchio e l’armonia de “Su Cuncordu Codronzanesu”.
L’obiettivo condiviso è quello di ricostruire il repertorio liturgico e paraliturgico dei canti dell’ Arciconfraternita di Santa Croce e del Rosario ormai scomparse, con tutti i limiti e le approssimazioni che possono scaturire da una ricerca basata su testimonianze orali. I componenti raccolgono manoscritti e registrazioni di quei centri della Sardegna in cui la tradizione e rappresentazione del canto a cuncordu è fortemente radicata per confrontare e completare il loro lavoro.
La Sardegna vanta un ricco patrimonio di tradizione musicale, uno tra i più antichi del mediterraneo che si manifesta in canti polivocali o monodici accompagnati talvolta da strumenti, alcuni dei quali tipici dell’isola come le launeddas. Il ritrovamento del bronzetto ittifallico suonatore di canne nel nuraghe di Ittiri Cannedu dimostra che già nel IX° secolo A.C era diffusa in Sardegna la polifonia sebbene debba essere intesa la polifonia lineare e non accordale del canto ad accordi.
Il canto in particolare si esprime in diverse forme: il canto a tenore, le cui origini sono antichissime, il canto a chitarra monodico diffuso in tutta l’isola soprattutto nel Logudoro e in Gallura, il canto a poesia così chiamato per la forma metrica in cui viene redatto e recitato, e il canto ad accordi o a cuncordu
Cantare a cuncordu significa cantare in armonia. Cuncordu in sardo significa appunto concorde, lo stare bene insieme. Un armonia che non è solo relativa ai suoni che vengono emessi/creati ma che è alla base dei rapporti degli gli stessi cantori. Vi è armonia nel silenzio quando chiudendosi il coro si prepara per le prove, e ancora durante le fasi di respirazione (importante per sostenere i lunghi accordi). Vi è armonia nel suono grave emesso dal basso che parte per primo seguito via via dopo alcuni secondi dalle altre voci il baritono, il tenore e il tenore primo per creare il primo accordo. Senza questa concordia e armonia è praticamente impossibile esprimersi al meglio e trovare la perfetta fusione delle voci che favorisce la quinta voce che nasce dall’accordo perfetto.
Come il canto a tenore, anche quello a cuncordu è di norma a quattro parti maschili, ciascuna delle quali viene eseguita da un solo cantore specializzato che secondo tradizione doveva essere un membro di una confraternita laicale. Il basso, “su basciu” ha alla sua sinistra il baritono, “sa contra”, alla sua destra il tenore primo, “sa mesa oghe” e di fronte il tenore, “sa oghe”.